Salve a tutti. Sarà perché sono in un periodo in cui sono un po’ pessimista sul lavoro del fisico che oggi voglio scrivere un post contro ricercatori e la ricerca. Penso infatti che buona parte della ricerca che si fa, almeno nel mio campo, materia condensata sia del tutto inutile, sia dal punto di vista applicativo che fondamentale, e non solo per quando riguarda il mondo dei teorici, ma anche per gli sperimentali.
In questo momento lavoro all’instituto Neel, un grande laboratorio con più di 400 persone circondato da altri centri di ricerca come il Sincrotrone, l’ILL, etc…. Devo dire che guardandomi intorno, non solo qui ma anche fuori a volte mi sembra che la gran parte della ricerca sia del tutto inutile e non produttiva. Le motivazioni per cui penso ciò si possono dividere un due, ed anzi per meglio dire i ricercatori che sono la causa di questa improduttività possono essere raggruppati in due gruppi:
Ricercatori alla moda
Il ricercatore alla moda è quello che segue l’ultimo argomento di ricerca, che studia il nuovo materiale appena pubblicato su Science etc.. Di questa categoria fanno parte interi gruppi che sono pronti a lasciare il loro vecchio tema di ricerca appena questo non è più alla moda per lanciarsi nel nuovo fashion hot topic. Un tipico esempio nel campo delle nanostrutture e nanotecnologie sono quelli che lavoravano sui nanotubi, che avrebbero dovuto rivoluzionare devices, elettronica, materiali ultraleggeri etc… ed invece non sono serviti a niente, quindi hanno cambiato per fulleri and friend, ma anche in questo caso dopo un po’ hanno lasciato per il mitico graphene. Ma anche nel caso del graphene, ho già visto gruppi che lo stanno abbandonando per altri materiali, per esempio per dedicarsi al fotovoltaico etc…
Non voglio dire che gruppi come questi non producano, anzi fanno anche belle pubblicazioni, ma senza un gran perché. Si fanno bellissime misure, si costruiscono prototipi di transistors a single nanotube, o graphene transistor, etc…. e poi ci si rende conto che in pratica tutti questi oggetti sono irrealizzabili fuori da un laboratorio, e la fisica che si impara era già nota dai libri di testo.
Certo qualcuno mi dirà che per adesso è così ma in futuro….. il fatto è che a questo futuro non ci credo più tanto, visto che per i materiali precedenti (nanotube e fullereni) si diceva lo stesso 🙂
Il problema di questa categoria è che non pensano mai a qualcosa di nuovo, innovativo o controcorrente, seguono la moda e basta.
Ricercatori Conservatori
Questa invece è la categoria opposta, composta da quei ricercatori che hanno imparato una tecnica oppure si sono specializzati nello studio di un certo fenomeno e continueranno a fare la stessa cosa per tutta la vita, anche se ciò che fanno è completamente inutile. Ho amici sperimentali che continuano a fare lo stesso tipo di misura su ogni campione gli venga dato, che sia l’ultimo materiale fortemente correlato o una buccia d’arancio, senza poi fare una grande differenza. Lo stesso per i teorici, che hanno imparato a calcolare una certa quantità e la calcolano per qualsiasi cosa.
Ci sono poi quelli che fanno solo un argomento anche se ormai è stato spiegato tutto su quell’argomento e rimangono solo dettagli insignificanti. Questi ultimi formano intere comunità di ricercatori sparsi per tutto il mondo, e possiamo dire che loro sono ciò che resta del gruppo precedente gruppo quando non hanno più la forza di cambiare.
Per finire con un po’ di ottimismo, devo però dire che in queste due categorie ci sono ricercatori bravissimi che sono stati in grado di aprire e sviluppare nuovi campi di ricerca, e poi fuori da questi due gruppi ci sono quei pochi che riescono a muoversi verso cose nuove, contro corrente ad aprire nuovo strade e nuovi modi di fare ricerca.
danielebarettin
gennaio 14, 2012
Effettivamente i due gruppi che descrivi esistono.. io stesso ne conosco molti… 😉
Certo il tuo approccio, ovvero che buona parte della ricerca nel campo della materia condensata sia inutile è un po’ drastico.. mi tocca pensare di cambiere lavoro 😀
Penso che a volte la ricerca alla moda serve per ottenere più facilmente finanziamenti, poi magari un gruppo che ha una buona leadership riesce ad usare quei soldi anche per alti fini, nel mio caso ad esempio, io sono pagato per fare modelli per il fotovoltaico, ma uso molta parte del mio tempo-ricerca per argomenti di fisica di base.
Inolte “nuovi” argomenti, come è stata la grafene – a Soul nel 2010 alla conferenza ICPS il 90% dei talk era sulla grafene.. sembrava che se non facevi grafene eri fuori dal mondo – possono portare degli sviluppi indotti , ovvero parlando da “simulatore”, si sviluppano nuove tecniche che poi possono risultare utili per altro.
Maria Grazia Ortore
gennaio 14, 2012
Grazie Claudio per aver aperto una finestra su una questione molto interessante e, credo, trascurata: l’utilità della ricerca! Mi permetto solo di dire che la “material science” ha prodotto anche cose utilissime e molto diffuse. Condivido molte delle tue osservazioni, che potrebbero essere traslate facilmente sulle categorie della biofisica, e mi sono chiesta assai spesso perchè questo accada. Credo le motivazioni siano molteplici:
1. La finanziabilità dei progetti risulta spesso molto, troppo legata all’hot topic.
2. Capita che sia paradossalmente più facile pubblicare una ricerca di basso livello sull’argomento di moda, piuttosto che qualcosa di realmente innovativo su un tema poco trattato.
3. E’ più semplice praticare la stessa metodologia di analisi su vari sistemi, piuttosto che inventarne di sempre nuove.
In realtà, il ricercatore dovrebbe essere per definizione una persona che rifugge la ripetitività, ma ama invece intraprendere strade nuove, che è lui stesso a scoprire. Ricordo il Prof. Antonio Bianconi, nel corso di biofisica alla Sapienza, che diceva: ” Un biofisico è una persona che inventa nuove metodologie di indagine, basate sulla fisica, utili a capire meglio un certo sistema biologico. Una volta che ha inventato un metodo nuovo, lo lascia usare a biologi/medici, etc, per decenni, mentre lui si mette ad inventare qualcosa di diverso, altrimenti si annoia!”. Se vuoi, questa definizione fisico-centrica aveva comunque un’impostazione per me affascinante e stimolante, non trovi?
attaccalite
gennaio 16, 2012
Cari Daniele e Maria Grazia sono pienamente d’accordo con i vostri due commenti.
🙂
maurizio
gennaio 16, 2012
Ricerca “inutile” o “utile” ?
Se è questo l’argomento, bisognerebbe prima chiarire il concetto di “utilità”.
Cosa definiamo “utile” ? Qualcosa che sia indispensabile alla sopravvivenza umana ? allora i cellulari, i computer, le auto, perfino l’acqua in casa sono tutte cose “inutili”. Forse vorremmo allargare il concetto a “utile a vivere comodamente” ? ma di nuovo…dovremmo elminare un sacco di attività umane, come lo sport, la pittura, la poesia….pensiamo alla musica…insomma cosa vuol dire “utile”? Come esseri umani, mangiamo, beviamo, ma senza tante altre attività “inutili”…cosa sarebbe la nostra vita? E’ “utile” capire se i neutrini vanno più veloci della luce? bè, dipende dalle vostre prospettive: io, come essere umano, sono curioso di saperlo. Certo, se ho fame, riterrò più utile scaricare un cesto di frutta; ma dopo, con la pancia piena, mi metterò a pensare, a sognare…ad inventare…e si, inventerò anche cose “inutili” ma divertenti, curiose, che mi facciano capire meglio in che razza di mondo mi sono trovato a vivere.
Piuttosto, sono anche io contro i “temi di moda”: tutti dovrebbero avere i fondi per realizzare un’idea, magari dop vediamo cosa hanno fatto e nel caso non gli rinnoviamo la fiducia…ma con gli “hot topic” ci toccherà metterci tutti a fare finta di occuparci di grafene, per racimolare un po’ di soldi e portare avanti le cose che davvero ci interessano e che riteniamo più “premianti”.
attaccalite
gennaio 16, 2012
Ciao Maurizio
con “utile” non volevo dire applicata, ma semplicemente vera ricerca, non tanto per seguire mode. La curiosità è la qualità più indispensabile nella ricerca secondo me, ed è quella che porta a risultati. A volte io mi sono scontrato con gruppi che studiano degli argomenti solo perché lo fanno tutti gli altri, e mi chiedo a che serve? non hanno ne idee nuove ne voltà di cercarle. Alla fine non ho niente contro il graphene, se qualcuno ci fa della bella ricerca mi piace, ma se (come fanno alcuni gruppi qui da me) lo mettono prima su metalli, poi isolati poi … ed ogni volta misurano la stessa cosa senza un grande perché, mi rompono proprio 🙂
maurizio
gennaio 16, 2012
io sono d’accordo con te, soprattutto sul discorso “mode”, te l’ho scritto
comunque capisco perchè lo fanno: per avere fondi devi produrre tanti lavori, quindi riutilizzando le stesse cose fai prima e capitalizzi di più
questo ovviamente all’estero…qua da noi è più un discorso di avere i numeri di telefono giusti…e questo si che rompe
matteofilippi
gennaio 19, 2012
Post impeccabile. Grazie Claudione!
Hai riflettuto sul fatto che questa ricerca “inutile” costa moltissimo? (quanto costa ad es. il CNRS soltanto di stipendi?).
Comunque io la vedo anche piu’ nera di cosi’
Maria Grazia Ortore
gennaio 24, 2012
E come la vedi, Matteo?
matteofilippi
gennaio 27, 2012
che dire, il buon Claudio mi ha tolto il post di bocca. Sono (ero) anche io un fisico sperimentale della materia condensata, e certe cose le ho viste.
Posso aggiungere che la crisi mistica che sta squassando Claudio viene a tutti fra i 30 e i 36 anni, e che dunque la ricerca e’ fatta principalmente da persone ben consapevoli della sua inutilita’.
Inoltre tutte le volte che ho avuto l’opportunita’ di analizzare i lavori da dietro le quinte, ho visto che le pubblicazioni erano sbagliate o senza senso, a volte in buona fede, a volte in modo pericolosamente vicino alla frode, e quando non erano sbagliati i risultati erano assolutamente triviali.
Paradossalmente questo non fa troppi danni, perche’ tanto si pubblica moltissimo, tutto e il contrario di tutto.
E fortunatamente il mondo della R&D se ne frega e va avanti lo stesso.
Per concludere ho l’impressione che il ricercatore sia qualcuno che, tanto per tirare a campare, pubblica i suoi errori ( che costano un bel po’, guardate i bilanci dell’ ESRF o del CNRS). E che racconta in giro di essere molto utile alla collettivita’..
Sono troppo pessimista?
Massimo Pinto
febbraio 9, 2012
Io ho superato già l’età della crisi mistica a cui faceva riferimento Matteo, e ciononostante sono rimasto entusiasta della ricerca. Anche se con alcuni dubbi, collegati a quanto avete scritto qui, a cominciare da Claudio.
Credo che bisognerebbe azzerare gli interessi della ricerca, non il numero di ricercatori o il numero di articoli pubblicati. Non credo sia soltanto un discorso di utilità o inutilità (comunque molto ben rappresentato da Claudio in questo post) quanto, piuttosto, il problema derivante dal vizio di seguire, coi paraocchi, i settori disciplinari dove girano più soldi. Se un argomento ‘tira’ più di un altro perché ci sono più finanziamenti, è normale aspettarsi che molti si lancino in quel settore. Dopotutto è una condivisibile questione di sopravvivenza: è in gioco la propria carriera, quella dei propri studenti, del proprio gruppo di ricerca. Interi dipartimenti universitari sono letteralmente evaporati, perché si occupavano di ricerca ritenuta – da una macchina più grande di loro – poco interessante, ovvero poco produttiva in termini di capacità di attrarre finanziamenti, pubblicazioni su riviste ad alto impatto, etc.
Gli interessi nella ricerca nascono dal dovere già prevedere i risultati, mentre si prepara una proposta di progetto di ricerca (ma ci rendiamo conto di quanto in basso si è finiti??) oppure quando si deve scrivere in dettaglio in che modo il cittadino beneficerà dei risultati che ci si promette di trovare. Perché è il cittadino che finanzia quella ricerca ed è a lui che si deve il conto (ma è proprio questo che vuole il cittadino?). Necessariamente, con queste pressioni si finisce per seguire le strade più convenienti. E si finisce anche nel plagio, nel sensazionalismo, ed in tutti quei fenomeni che sono emersi negli ultimi anni sulla stampa specializzata e non.
Questo non spiega la categoria dei ‘Conservatori’. Ma forse quelli sono privilegiati, perché riescono a contare su finanziamenti sicuri, nonostante tutto.
danielebarettin
gennaio 27, 2012
Matteo, diciamo che forse sei troppo drastico.. anche se il tuo commento è molto interessante… sono convinto che quello che dici è vero, che esistono moltissime situazioni e quindi ricerche ed articoli come tu descrivi.. però credo che ci siano anche molti gruppi che provano a pubblicare qualcosa di onesto e ben ponderato. Certo, non si può sempre pubblicare qualcosa di sensazionale, a volte si pubblicano piccoli passetti in avanti, ed a volte viene fuori che sono sbagliati. Nell’esperienza che ho avuto prima all’estero e ora nel mio gruppo, ho sempre avuto a che fare con persone con una seria deontologia. Forse sono stato fortunato, non lo so. E forse più avanti nella carriera mi accorgerò che avevi ragione tu. Per ora cerco di seguire la strada che mi hanno insegnato.
attaccalite
gennaio 28, 2012
Ciao Matteo
seconde me non sei troppo pessimista, anche se dal mio punto di vista il problema sono il grande numero di lavori triviali. Riguardo ai costi ricordati anche dell’esercito di segretari e segratarie che lavorano al CNRS 🙂
a presto
M. Grazia
gennaio 28, 2012
Beh Claudio non tocchiamo le segretarie, che come diceva “il papi” il nostro è un Paese che si regge sulle nostre bellissime segretarie (tono ironico, se non fosse più che evidente)!
Ma a parte questo “dettaglio”, sono d’accordo sull’esplosione del numero di pubblicazioni, che corrisponde spesso ad una drastica diminuzione della qualità del lavoro di ricerca. Fino a qualche anno fa mi stupivo di come un articolo pubblicato tipo negli anni ’60 del secolo scorso avesse un contenuto innovatore assolutamente non comparabile all’articolo “medio” di oggi. Ma di chi è questa responsabilità, se non prima di tutto della comunità scientifica?! Andando probabilmente controcorrente, sostengo che pubblicare un articolo scientifico dovrebbe essere molto più difficile rispetto a quanto sia ora. La difficoltà non dovrebbe essere semplicemente nell’aumentare la richiesta di innovazione in un lavoro pubblicato, ma anche nel rendere obbligatorio un possibile confronto. Questo apre una vastità di scenari, prima fra tutti quello di rendere open-access i dati sperimentali pubblicati, che mi sembra già un passo importante.
Per il giudizio sui ricercatori espresso da Matteo, credo sia purtroppo molto lucido, sebbene questo non tolga che ci sia una parte della comunità scientifica che lavora seriamente, con passione, e che percorre con solerzia le vie della conoscenza. Che tutto questo sia una conseguenza dell’incremento del numero di persone che vuole fare ricerca?!
matteofilippi
gennaio 29, 2012
M. Grazia, trovo la tua ultima osservazione abbastanza acuta. E magari i motivi che spingono a fare ricerca non sono proprio dei piu’ nobili..
Credo che il sistema “ricerca” sia inefficiente al 90/95%, e che vada dunque messo seriamente in discussione. Non ho ricette, ma ridurrei il numero di pubblicazioni di un fattore 20/30, il numero di conferenze di un fattore 10/15, il numero di ricercatori di un fattore 3/4. Poi quando il polverone si e’ abbassato e la caciara e’ finita forse si capira’ cosa fare.
Trovo inoltre che la ricerca fallisca anche in un altro dei sui scopi fondamentali, cioe’ diffondere la conoscenza e ridurre l’analfabetismo scientifico. Siamo tristemente trincerati dietro i nostri algoritmi e formule cabalistiche, come una specie di sacerdoti di una religione basata su consuetudini e dogmi.
Infine, mea culpa. “Triviale” e’ un raccapricciante inglesismo che ha un significato completamente diverso in italiano
M. Grazia
gennaio 31, 2012
ok, allora sul “triviale” adesso capisco.
90-95% mi sembra una stima pessimistica. Diciamo però che una certa parte di pubblicazioni scientifiche potrebbe andare definito come report tecnico, e quindi avere la sua utilità senza necessariamente aver implicato chissà quale passo avanti nella scienza.
Per quanto riguarda la diffusione della conoscenza scientifica, credo che le persone più in gamba nel mondo scientifico vi si adoperano spesso e bene. Chi si trincera dietro consuetudini e dogmi, ovviamente non lo riesco a definire un vero scienziato.
Infine, qual è la ricetta? Nell’ordine che ci hai dato? Potrebbe andare. Perchè se invece cominciamo col ridurre il numero dei ricercatori, finisce magari che tagliamo quelli che hanno fatto un numero onesto di lavori validi, e premiamo i tanti “alla moda”…
danielebarettin
febbraio 9, 2012
Sono molto d’accordo con Massimo. Sarà che anche io nonostante tutto sono rimasto entusiasta della ricerca.
Purtroppo quelli che Massimo chiama gli interessi nella ricerca esistono e sono fortissimi, ovunque. Al Mads Clausen Institute in Danimarca dove lavoravo io, e stiamo parlando quindi di un paese ricco e garantista sui posti di lavoro, due gruppi di ricerca minori, ritenuti sterili, sono stati chiusi da un giorno all’altro, semplicemente perchè si è ritenuto che producevano pochissimi risultati e comunque non utili nè alla comunità scientifica nè al sistema Danese. I soldi sono stati dati ai gruppi rimanenti, e la gente mandata a casa da un giorno all’altro… certo con tutte le garanzie sociali del sistema Danese.. ma sempre di licenziamento si tratta. Purtroppo dei compromessi sono necessari. Se mi permettere il paragone, io credo che oggi come oggi il ricercatore serio si debba comportare un po’ come quegli attori famosi, che fanno film di cassetta per poter poi permettersi economicamente di fare film d’autore scelti da loro in totale libertà. Io stesso faccio così ora come ora.. faccio modelli per celle solari organiche – dove non esiste nessuna nuova Fisica, si tratta solo di ottimizzazioni, che tra l’altro trovo di una noia mortale 😦 – per poter aver soldi e finanziamento – e stipendio- per poter continuare ad occuparmi di nanostrutture e sistemi disordinati, dove seguo solo le miei idee.