L’8 marzo del 2010 scrivevo questo post. Due anni dopo mi ritrovo a scrivere per l’8 marzo di nuovo, e tantissime cose sono cambiate. In questi due anni sono stata assunta nell’azienda di ingegneri in cui avevo vinto la borsa di formazione, ed ho avuto un altro bambino. Sono oggi un fisico nel reparto di Ricerca e Sviluppo di una società che si occupa di robotica in campo biomedico. Un lavoro che mi piace, e che mi è congeniale più di quanto mi aspettassi all’inizio. Ma visto che siamo alla vigilia della giornata della donna, vorrei parlare di come ho vissuto la maternità questa volta, e di come sia stata diversa – da un punto di vista “lavorativo” – rispetto alla volta precedente.
Come ho scritto nel post di due anni fa, con il mio primo figlio sono stata a casa 5 mesi senza stipendio perchè, per motivi che non sono ancora completamente chiari, i miei contributi non risultavano e l’INPS mi ha rifiutato l’indennità. Il ricorso è stato presentato ma a più di 3 anni di distanza è ancora irrisolto. In pratica ha pagato la mia famiglia per errori di altre persone. Questa volta, con un contratto a tempo indeterminato, ho ricevuto tutti gli stipendi mese per mese, la tredicesima, e ho chiesto anche un mese di congedo parentale al 30% dello stipendio. Nel frattempo ho maturato anche molti giorni di ferie. Due bambini figli della stessa madre hanno avuto dei diritti completamente diversi solo perchè la loro mamma aveva contratti di lavoro diversi al momento della loro nascita. I nostri governi sembrano non rendersi conto che il diritto alla maternità dovrebbe essere regolato allo stesso modo indipendentemente dalla posizione contrattuale perché riguarda in primo luogo i bambini, e non solo le loro mamme.
Un’altra grande differenza che ho riscontrato, questa volta rientrando al lavoro, è stato il vantaggio di avere l’asilo aziendale. Proprio così, avete sentito bene: la mia azienda ha l’asilo aziendale, nello stesso palazzo in cui ci sono gli uffici e il laboratorio. E no, non mi trovo in Svezia!
Al di là del vantaggio indubbiamente pratico ed economico (il bimbo viene e va via con me riducendo al minimo il tempo di “distacco”, per qualunque cosa sono al piano di sopra, l’azienda copre una buona parte della retta), ci sono grossi vantaggi anche da un punto di vista “lavorativo”:
– il mio capo è il capo anche delle educatrici, dunque se il bimbo sta male e loro mi dicono che non può rimanere in asilo, o che il giorno dopo è meglio che lo tengo a casa, se la vedono loro…non è colpa mia!
– il nido ha degli orari ben precisi, che si adeguano certo agli orari dell’azienda, ma nessuna educatrice sarebbe d’accordo che tu le lasciassi lì un bimbo per più di 6 ore quando è ancora lattante (sotto i 12 mesi), 8 quando è più grande (da 1 a 3 anni).
– i miei colleghi mi vedono ogni giorno arrivare ed andare via con questo bimbo nella fascia, tutti partecipano del fatto che ho un bimbo piccolo, tutti hanno molta comprensione se a una certa ora scappo via, o se un giorno devo rimanere a casa perché il bimbo non sta bene.
Insomma, sono tornata al lavoro volentieri con un figlio di soli 4 mesi, e gli aspetti psicologici della possibilità di portarlo con me sono stati molto importanti. Non ci ho guadagnato solo io ma tutta l’azienda. Avrei potuto rimanere ancora dei mesi a casa al 30%, ma non l’ho fatto. Non so quante donne con contratto a tempo indeterminato stiano a casa solo 5 o 6 mesi. Io ne conosco tante che fra gravidanze anticipate, congedi parentali e ferie stanno a casa due anni per figlio. E allora è un circolo vizioso, un datore di lavoro non assume donne o le assume solo con contratti precari (peggio ancora fa firmare un foglio di dimissioni in bianco) perchè sa che basta una gravidanza per vedere sparire la lavoratrice per mesi, forse anni. Allo stesso tempo una lavoratrice che non sa a chi lasciare il figlio per tornare al lavoro, con la carenza di asili nido comunali e i costi di quelli privati, preferirà stare a casa finchè può a spese dell’INPS. E allora sempre meno contratti alle donne, sempre più precariato, sempre meno figli…
Le maternità lunghe e difficili sono un alibi per assumere poco e male le donne, la mancanza di servizi un alibi per le donne per non tornare a lavorare. Io penso che in tempo di crisi economica un paese non può permettersi di avere il
8 marzo bis
Posted on marzo 7, 2012 di elisabettalatorre
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maria grazia
marzo 8, 2012
Cara Elisabetta, il tuo post porta veramente un po’ di luce. E’ molto importante inoltre la tua testimonianza, perchè sottolinei come le due situazioni che hai vissuto per i tuoi due figli siano diversissime.
Mi piacerebbe capire cosa pensano di queste situazioni gli uomini, e soprattutto intendere quanto per loro queste questioni siano importanti.
Ciao,
e Auguri alle donne…
Massimo Pinto
marzo 8, 2012
Che rabbia…sia il trattamento che hai avuto quando hai avuto il primo figlio, sia constatare che il trattamento che il tuo posto di lavoro ti offre è solo un caso di rara civiltà. Gli effetti sono evidenti: avere figli, nelle condizioni di lavoro dipendente che hai descritto e che sono -purtroppo- un privilegio piuttosto che la norma, diventa più facile, sembra una meta raggiungibile.
L’asilo nido sul posto di lavoro produce anche, come hai ben descritto, accettazione della condizione di paternità/maternità, e quindi un ambiente di lavoro più sereno e rispettoso. Ti concede l’opportunità di fare un salto a vedere tuo figlio nella pausa pranzo.
Quanto descrivi è applicabile alle donne (auguri!) così come agli uomini. Io stesso ho avuto il figliolo al nido d’infanzia dell’università, per poco meno di tre anni, a prezzo agevolato, nello stesso campus dove lavoravo. Sapevano tutti, a lavoro, che avevo un figlio e che dovevo prendermene cura. Il mio orario di lavoro era scandito da quello dell’asilo, per cui nessuna riunione era mai programmata in orari ‘proibiti’, ma ci si aspettava anche che dopo cena e dopo aver messo il figliolo a letto, sotto scadenze, si lavorasse ancora, da casa.
E non ero nemmeno un dipendente a tempo indeterminato. Ero solo negli Stati Uniti. Ci fa poco onore farci distaccare così tanto in tema di supporto alle famiglie. Ma questo è forse il banale lato ‘B’ della nostra fortissima istituzione familiare italiana: se non hai un genitore o un parente vicino che può darti una mano con tuo figlio, allora sei proprio uno sfigato.
Elisabetta
marzo 9, 2012
ciao Massimo, è molto importante quello che scrivi e arrivi proprio al nocciolo della questione: negli altri paesi entrambi i genitori lavorano e entrambi si prendono cura dei figli. negli altri paesi non si mettono le riunioni oltre le 4 perchè chi ha figli – sia uomini che donne – a una certa ora cascasse il mondo va a prenderli a scuola. negli altri paesi l’asilo nido è un diritto per tutti e non costa le cifre pazzesche che costa da noi (anche i comunali, per quei pochi “sfortunati” che riescono ad accedere – perchè se ti prendono un figlio al nido comunale vuol dire che davvero le cose ti vanno tanto male – non costano poco). nei paesi scandinavi addirittura, se un padre non prende il congedo parentale è guardato male dal suo capo, perchè “se non si prende cura della sua famiglia, come potrà essere affidabile sul lavoro?”. insomma qui ricade come sempre tutto sulle donne, le mamme che spesso lasciano il lavoro o non vedono rispettati dei diritti che dovrebbero essere fuori discussione, le nonne che devono badare ai bambini perchè gli asili non sono accessbili, o perchè il tempo pieno a scuola è accessibile solo a un numero ristretto di quelli che fanno domanda, perchè gli orari lavorativi sono basati su uomini che tanto hanno la moglie a casa che pensa a tutto lei e allora possono lavorare anche fino alle 10 di sera. è questo che mi fa arrabbiare molto, entrambi i genitori devono occuparsi dei figli, non sono solo le mamme che devono stare a casa, prenderli a scuola, cucinare e lavargli la biancheria. insomma il problema della conciliazione NON riguarda solo le donne, ma tutta la famiglia e tutta la società. siamo ultimi in Europa per l’occupazione femminile, ma anche per tasso di natalità. non credo che sia una coincidenza. e non credo che ci riprenderemo dalla crisi economica se questa mentalità non cambia.
danielebarettin
marzo 10, 2012
Interessantissimo post! Quello della maternità (e paternità) garantita è sicuramente un tasto dolente, in cui noi Italiani siamo molto indietro – confermo che in questo i Danesi sono anni luce avanti – e su cui dovremmo veramente lottore per avere più diritti.
Aggiungo, cari Elisabetta e Massimo, che le vostre storie personali – pur non avendo io figli- mi hanno molto toccato.